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Sindone di Arquata: mistero e devozione

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A seguito degli eventi sismici in corso nel Piceno, la Sindone di Arquata del Tronto è stata messa in sicurezza con il trasferimento nella Cattedrale di Ascoli Piceno. Nella speranza che il telo possa presto tornare nella chiesa di Borgo, lasciamo immutato il testo che lo presenta.

Arquata del Tronto, piccolo paese dominato da un rocca lungo la via Salaria, custodisce una copia della Sacra Sindone. Custodita ed esposta nella chiesa di San Francesco della frazione di Borgo, la reliquia è ancora oggi poco conosciuta e di incerta origine.

Scoperta solo nel 1980 durante alcuni lavori di restauro, la copia della Sindone era rimasta segretamente custodita dai francescani in un’urna per oltre tre secoli e poi murata nella nicchia di un altare, sicuramente perché ritenuta in pericolo, subito dopo l’ultima ostensione durante la seconda guerra mondiale.

Il telo si compone in un unico panno tessuto in filo di lino lavorato con trama e ordito perpendicolari. Il lenzuolo è di forma rettangolare e misura 440 cm di lunghezza e 114 cm di altezza.

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Un documento storico è attualmente l’unica fonte da cui ricavare informazioni sul prezioso lino. La pergamena, redatta ad Alba il 1 maggio 1655 e firmata da Guglielmo Sanzia, cancelliere vescovile e notaio, e Paolo Brizio, vescovo e conte di Alba, dice che su “petizione del vescovo Giovanni Paolo Bucciarelli ed alla presenza di una commissione appositamente incaricata, nella piazza di Castelgrande di Torino un lenzuolo di lino di eguale misura è stato fatto combaciare con il lenzuolo della Sacra Sindone e che a seguito di questa operazione, è rimasta impressa l’immagine del tutto simile all’originale”.

La dicitura impressa sul telo “EXTRACTVM AB ORIGINALI”, riportata al centro, nello spazio tra le impronte del viso e della nuca, non chiarisce  il sistema usato per ottenere la riproduzione che, nelle altre poche copie esistenti nel mondo, è quello della pittura. Recenti analisi effettuate dall’Enea individuano nella sottile diversa tessitura di trama e ordito il segreto dell’immagine impressa sul telo. Insomma un effetto ottico di grande perizia, rafforzato dalla colorazione del corpo, data dal pannello di colore rosso sottostante il lino. Secondo l’Enea, il telo, oltre ad essere stato tessuto con la particolare tramatura, presenta inserimenti di un pigmento, non ancora identificato, mescolato con sangue: questi inserimenti sono in corrispondenza delle ferite del corpo ritratto sul lenzuolo.

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La “messa a contatto” delle copie con l’originale serviva a rafforzare l’idea di sacralità della reliquia. L’ultimo contatto del lino di Arquata con quello originale è risalente al 1931 in occasione dell’ostensione della Sindone a Torino.

Come questo prezioso lino sia giunto nel piccolo paese montano non si sa. Le copie della Sacra Sindone, che come è noto apparteneva in origine ai Savoia, furono realizzate per avere reliquie di proprietà ecclesiastica da custodire in luoghi riservati e sicuri. Un ruolo l’ebbe certamente il vescovo Massimo Bucciarelli, che era segretario del cardinale Federico Borromeo, cugino del Carlo Borromeo poi divenuto santo. Una lapide in marmo commemorativa del citato vescovo Bucciarelli si trova all’interno della chiesa di S. Francesco e ricorda l’incarico del suddetto presso il cardinale. Vicino alla lapide si trovano anche un altare in legno con una tela raffigurante San Carlo Borromeo inginocchiato e, poco più in alto, una tela del tardo ‘500, raffigurante Gesù davanti ad un lenzuolo disteso.

La collocazione di queste opere non è certa casuale e, in qualche modo, testimonia un legame tra la figura del vescovo Bucciarelli e la dinastia dei Borromeo. Questa famiglia, che tanta parte ha avuto nella storia della Chiesa, fu molto legata alla Sacra Sindone di Torino e, anzi, ne determinò il ritorno in Italia. Emanuele Filiberto di Savoia aveva spostato nel 1563 la capitale a Torino, ma la Sindone era rimasta a Chambéry. Nel 1578 il Duca decise di trasferirla.  L’occasione si presentò quando l’arcivescovo di Milano Carlo Borromeo, fece sapere che intendeva sciogliere il voto, da lui fatto durante l’epidemia di peste degli anni precedenti, di recarsi in pellegrinaggio a piedi a visitare la Sindone. Emanuele Filiberto ordinò di trasferire la reliquia a Torino per abbreviargli il cammino, che San Carlo percorse in cinque giorni. Il futuro santo seguì l’ostensione per quaranta ore.

La Sindone di Arquata del Tronto  è custodita in una teca, con davanti cento lumi, tanti quanti quelli che, secondo la leggenda, accompagnavano il lino durante le processioni in occasione di carestie, siccità e guerre. L’accesso è libero e la reliquia è permanentemente esposta.