Ai tempi

Squintani salvò Ascoli dai bombardamenti

Il salvataggio di Ascoli dai bombardamenti fu fortemente voluto e perseguito dal vescovo Squintani e segnò fortemente il suo episcopato.

Il 3 ottobre 1943 il Colle San Marco di Ascoli Piceno fu teatro di un cruento scontro tra le forze tedesche e ed uno dei primi nuclei di Resistenza. I 38 morti suscitarono una viva impressione in città. Tra i primi ad avvertire l’urgenza del momento ci fu il vescovo di Ascoli monsignor Ambrogio Squintani. L’inasprimento della lotta ai nazisti faceva temere nuove rappresaglie e, soprattutto, i bombardamenti.

L’idea venne da un fedele collaboratore del vescovo, l’avvocato David Ciampini. Dopo aver consultato ed ottenuto un primo assenso dai locali comandanti tedeschi, fu redatta una lettera che faceva presente come Ascoli Piceno, sia per ubicazione che per dotazione di edifici di natura sanitaria, fosse adatta ad essere considerata città libera ospedaliera e dunque non bombardabile. La lettera era indirizzata al Comandante in capo delle Forze armate di occupazione tedesche in Italia feldmaresciallo Albert Kesserling. L’avvocato Ciampini, che la sottoscriveva, faceva presente che in città era già in funzione un ampio ed attrezzato feld-lazzaretto e che, se il Comando tedesco avesse accolto la richiesta, si sarebbe invocata l’autorità del Pontefice Pio XII per ottenere il consenso degli Alleati.

La missiva seguì un lungo iter. L’avvocato Ciampini la consegnò al Provinciale dei Cappuccini Padre Emidio Germani che, a sua volta, la consegnò all’ingegner Venceslao Amici, , deputato originario di Paggese. Amici ebbe l’incarico di portarla a Padre Pancrazio Pfeiffer, Generale dell’ordine dei Salvatoriani, tedesco di nascita, che aveva un contatto diretto con il comando tedesco a Roma (uno dei canali del famoso “collegamento morbido” che salvò centinaia di vite). Padre Pfeiffer, ammiratore di Sisto V e per questo particolarmente legato al territorio Piceno, si adoperò immediatamente. Giunta a destinazione la lettera, nel gennaio del 1944, fu subito anche attivato il canale Vaticano. Una seconda missiva partì da Ascoli per il Sostituto della Segreteria di Stato monsignor Giovanni Battista Montini (che nel 1963 sarà Paolo VI) per richiedere un interessamento diretto del Papa.

Un velo di mistero regna sull’incontro, nel gennaio del 1944, tra il vescovo Squintani e il Federmaresciallo Kesserling: incontro sicuramente avvenuto ma mai citato in alcun documento storico, a cui accenna il segretario di mons. Squintani, don Sante Nespeca, nel testo di “notizie storiche” sul vescovo cremonese pubblicato nel 1983.

Gli effetti di queste azioni non tardarono ad arrivare. Nel giugno 1944 il Comando tedesco requisì alcuni edifici in città per destinarli a strutture di ricovero e trasferì in città circa 4.000 soldati feriti e ammalati: divennero lazzaretti l’Istituto tecnico, la scuola delle Canterine, l’ospedale nell’ex seminario e quello civile, la scuola Agraria. Dopo poco tempo una enorme croce rossa fu tracciata sulle montagne attorno alla città e gli aerei militari seppero così che da quel punto era vietato bombardare.

Sarà Pio XII, il 24 luglio del 1944, ricevendo privatamente monsignor Squintani, a voler scolpire questo passo nella storia (“Questa preservazione di Ascoli è albo signanda lapillo“, è da incidere sulla pietra) incaricando al contempo monsignor Montini di renderne testimonianza in una lettera, datata 28 luglio, allo stesso Vescovo di Ascoli Piceno.

Ascoli si salvò per il tempismo delle azioni condotte da mons. Squintani. Nell’elenco compilato dal quartier generale della Maaf (Mediterranean Allied Air Forces) in data 7 aprile 1944, le città d’arte italiane vengono divise in tre categorie: 5 non possono essere bombardate per alcun motivo se non di concerto con i governi alleati; 21 non dovrebbero essere bombardate ma, se ciò non fosse possibile, il comandante delle forze aeree Ira Eaker potrà farlo assumendosene la responsabilità; 24 dovranno essere comunque bombardate e ogni danno dovrà essere accettato. Ascoli figura nella seconda categoria, insieme a città che furono bombardate ed ebbero vittime: è il caso, per esempio, di Spoleto, colpita già il 16 aprile (solo 9 giorni dopo la nota del Maaf) e ancora il 10 giugno.

Il “racconto” della salvezza di Ascoli è oggi visibile attraverso i mosaici presenti nella cripta della cattedrale di Sant’Emidio. Nel 1950, il vescovo Ambrogio Squintani, per celebrare lo scampato pericolo di Ascoli Piceno, commissionò, in larga parte con fondi personali (e, come racconta Padre Emidio d’Ascoli, “affrontando difficoltà e incomprensioni“), all’artista Pietro Gaudenzi il disegno dei mosaici sulle pareti circostanti la tomba di Sant’Emidio.

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Nel quadro “Ascoli dichiarata città aperta”, Papa Pio XII affida a Padre Pfeiffer, in ginocchio, l’incarico di perorare la causa di Ascoli presso il Comando tedesco. Nel mosaico vengono raffigurati tutti i protagonisti di questo straordinario successo. Da sinistra abbiamo il cappuccino Padre Emidio Germani da Ascoli, il Sostituto della Segreteria di Stato Vaticana mons. Giovanni Battista Montini (che diverrà Paolo VI), l’avvocato ascolano Davide Ciampini ritratto con gli abiti di Cameriere Segreto di Sua Santità, il Segretario di Stato Vaticano card. Luigi Maglione, il nobile ascolano Francesco Merli con gli abiti di Cavaliere di Malta, il Vescovo di Ascoli mons. Ambrogio Squintani.

messa
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La straordinarietà del ciclo di mosaici è testimoniata anche dal quadro della “Messa al campo”: ritrae gruppi di partigiani che assistono ad una celebrazione eucaristica, con il fazzoletto rosso al collo ed il fucile in spalla. Si tratta di una immagine che sicuramente ha una sua unicità, soprattutto per il luogo in cui è collocata.

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C’è un ultimo quadro che testimonia il ruolo della chiesa ascolana sotto la guida di mons. Ambrogio Squintani, ed è quello denominato “La carità sui monti”. Gruppi di ex prigionieri Alleati fuggiti dai campi di concentramento di Servigliano e Monte Urano e famiglie di ebrei salvati dalla persecuzione ed inviati ad Ascoli da Pio XII, vengono messi al sicuro sulle montagne e accuditi, curati e sfamati dai sacerdoti e dalle popolazioni locali.